L’intervento nel processo amministrativo, per costante giurisprudenza, è ammissibile solo se finalizzato alla difesa di un interesse derivato o dipendente da quello della parte principale. (ex multis, Consiglio Stato, sez. V, 08 marzo 2011, n. 1445). Non è pertanto ammissibile né l’intervento principale (ad infringendum iura utriusque competitoris) per far valere una pretesa autonoma, né l’intervento adesivo autonomo (o litisconsortile) per esercitare un’azione autonoma su posizioni uguale e parallela a quella di una delle parti del processo.
L’unica forma di intervento ammissibile nel processo amministrativo è quella dell’intervento adesivo dipendente, sia nella forma dell’intervento ad adiuvandum, che nella forma dell’intervento ad opponendum.
Sebbene l’art. 28, 2° comma, del c.p.a. sembra prefigurare un superamento dell’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, riconoscendo la legittimazione all’intervento volontario a “chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse”, con la sola limitazione dell’accettazione da parte dell’interveniente dello stato e del grado in cui il giudizio si trova, tale norma va interpretata nel senso che detta legittimazione spetta anche a chi è titolare di una posizione giuridica autonoma e non meramente dipendente rispetto a quella azionata dalla parte ricorrente, ma non anche a chi intenda far valere un autonomo interesse all’annullamento, contrastante sia con quello della ricorrente principale che con quello del controinteressato. In tal caso, infatti, l’atto di intervento è di tipo principale (ad infringendum iura utriusque competitoris) e, quindi, sicuramente non ammissibile nel processo amministrativo.